Sfogliando la rassegna stampa di ieri, 25 Gennaio 2018, la mia curiosità ricade su un articolo de “Il Messaggero”, firmato dalla giornalista Valeria Arnaldi, dal titolo: ”Videogame, la nuova droga; in aumento la dipendenza”.
Allibito ma non più di tanto da una società digitalizzata e da generazioni di digitali nativi ormai in simbiosi con le nuove tecnologie, continuando nella lettura, riporto alla mente una notizia abbastanza allarmante, quasi fosse un campanello d’allarme, legata alla morte di un americano di 35 anni dopo aver giocato on line per 22 ore consecutive.
Supportando l’articolo con le statistiche provenienti dalla Società Italiana Psichiatrica Sociale, si conclude con circa 240 mila dipendenti dai videogame in Italia, tra i 15 e i 30 anni.
Fortemente motivato dalla tematica, Maurizio Condipodero stava per rispondere, magari impulsivamente al progredire/regredire di un processo inarrestabile.
Analizzando costruttivamente le potenzialità che il videogioco potrebbe racchiudere in chiave educativa, sulla linea del CIO e in seguito al riconoscimento da parte del Comitato Olimpico come disciplina agonistica vera e propria, ho preferito congelare la mia risposta.
L’idea di rispondere moralmente in qualità di Presidente del Comitato Regionale CONI Calabria mi spinge ad avviare un’attività di ricerca in diverse discipline sportive, attraverso la somministrazione di questionari brevi e indicativi su una campionatura di circa 100 soggetti tra bambini, genitori, nonni, tecnici e insegnanti per comprendere cosa rappresenti il videogioco.
Tempi di utilizzo, modalità, potenzialità correlate all’apprendimento e tanto altro saranno gli elementi indicativi della risposta del C.R. CONI Calabria.